martedì 27 dicembre 2011

CITTADINANZA SOVRANA: un nuovo modo di fare politica!

 
Molti si lamentano. Noi abbiamo scelto di agire. E tu?

Il nostro movimento nasce dalla convinzione che ogni cittadino italiano debba tornare a sentirsi protagonista della politica di questo Paese, perché “La sovranità appartiene al popolo”, come recita il 2° comma dell’art. 1 della Costituzione Italiana. E poiché il popolo è sovrano, i suoi bisogni e le sue richieste devono ricevere la massima attenzione dalle istituzioni e dagli organi politici.

E’ un concetto che i grandi partiti di questo Paese sembrano aver dimenticato da tempo, perdendo la capacità di interpretare le esigenze dei cittadini.

Mai come in questi anni la distanza tra il Palazzo ed il popolo è sembrata così evidente e così incolmabile, a prescindere dal partito e dal leader di governo. Gli interessi di parte e le piccole scaramucce tra schieramenti dominano la scena politica, mentre il cittadino italiano cerca sempre più faticosamente di sbarcare il lunario e sostenere una spesa pubblica completamente fuori controllo.

E’ tempo di mettere da parte le facili contrapposizioni e i colori politici: destra e sinistra perdono il loro significato quando una madre non può nutrire adeguatamente i propri figli, i nostri giovani non hanno opportunità di lavoro, gli anziani non possono permettersi cure adeguate. Le esigenze primarie di ogni cittadino ed i suoi diritti fondamentali, quali il lavoro, l’istruzione, la salute, la libertà di espressione e di scelta, non hanno colore politico, e forse per questo i partiti di governo li hanno troppo spesso ignorati.

CITTADINANZA SOVRANA non si schiera né a destra né a sinistra, non ha un colore politico, perché il cittadino comune non ha bisogno di ideologie o di leader; ha bisogno di risposte e di soluzioni.

E’ facile criticare l’operato di chi ha mal gestito la cosa pubblica negli ultimi decenni e lasceremo questo compito a coloro che amano il dibattito sterile o la satira politica. Noi ci proponiamo un obiettivo più difficile, ma più utile: proporre un modo nuovo di fare politica, trovando soluzioni diverse, che ci consentano di aumentare l’efficienza del Paese e di distribuire in modo più equo le risorse disponibili.

Il nostro primo passo in questa direzione è LA PARTECIPAZIONE A COSTO ZERO al movimento CITTADINZA SOVRANA. Chi vuole aderire può farlo liberamente, purché condivida le nostre idee e i nostri obiettivi e rispetti lo statuto.

Le idee non si nutrono di denaro, ma di dialogo e di confronto: l’opinione e la collaborazione attiva dei nostri iscritti e sostenitori, di qualunque fascia di età e di reddito, hanno per noi un valore inestimabile.

Coloro che ci rappresentano, in Parlamento e negli enti locali, sono nostri dipendenti, pagati da noi contribuenti per gestire ed amministrare “la cosa pubblica”, in nome e per conto del Popolo italiano. A noi devono rendere conto del loro operato e della situazione reale, con chiarezza ed onestà. I nostri interessi e bisogni devono essere la loro prima preoccupazione, ogni giorno. Il loro impegno verso i cittadini italiani deve essere costante, onesto e conforme alla legge.

Noi siamo i loro datori di lavoro e ci aspettiamo che i nostri dipendenti operino conformemente al loro mandato e che trattino ogni cittadino con il dovuto rispetto e con tutta l’attenzione che merita.

Se anche tu, come noi, sei stanco di chiacchiere inutili, di facili critiche e di vecchi sistemi, e vuoi collaborare per cambiare il panorama politico, anche solo nel tuo comune, ti invitiamo a leggere lo statuto ed il programma sintetico e ad inviarci la tua domanda di adesione, se interessato.
 
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martedì 8 novembre 2011

ITALIA RISORGI!!!

In questi momenti così drammatici per il nostro Paese, forse i più drammatici dal secondo dopoguerra, l'Italia ma soprattutto il Popolo italiano deve trovare dentro di se la forza per reagire; reagire a queste ingiustizie che colpiscono sempre le classi meno agiate.

E' impensabile che nel 2011 nella cosidetta 7° Potenza  mondiale e 3° o 4° europea si possa morire come topi in uno scantinato allagato come è successo a genova 2 giorni fa, a causa della continua mancanza di manutenzione dei corsi d'acqua.

Un tempo quando l'uomo occupava le montagne molti dei problemi odierni non esistevano in quanto si occupava di mantenere i letti dei fiumi puliti, coltivava e pascolava i campi, insomma faceva vivere il territorio; territorio che con l'avvento dell'industrializzazione del nostro Paese è stato gradualmente abbandonato a se stesso, al posto di pranti pascolati e campi coltivati si trovano oggi solo boschi incustoditi, nei letti dei fiumi e nei corsi d'acqua si trova di tutto, piante, tronchi, pietre,  e a volte delle vere e proprie discariche a cielo aperto, come non bastasse alcune leggi vietano di ripulire questi corsi d'acqua, verrebbe da dire oltre al danno la beffa.

In un Paese dove il PIL non cresce più dal 1998 e si rischia la recessione economica, dove i giovani non hanno un futuro se non da perenni precari (nelle più rosee prospettive), dove costantemente si innalza l'età pensionabile, creando non solo un grande disagio a coloro che da 40 anni lavorano, magari pure i settori alquanto usuranti, ma anche a coloro che si affacciano oggi al mondo del lavoro, aggravando la già citata situazione ocupazionale giovanile,  la "CASTA" politica pensa solo al proprio interesse e non a quello dell'intera Nazione, se infatti un comune cittadino dopo una vita di duro lavoro deve rincorrere la tanto agoniata pensione, i nostri "cari" politici l'ha ottengono dopo una sola breve permanenza di 2 anni e mezzo in Parlamento! Io dico che è giunta l'ora di ribellarsi a tutto questo, tutto ciò è assurdo la classe dirigente viene eletta dal Popolo Sovrano per servire il Paese e non per farsi servire da esso!!!

Nel G20 di Cannes appena concluso la nostra massima carica governativa: il Presidente del Consiglio dei Ministri  ha negato che in Italia ci sia la crisi anzi secondo lui nel nostro Paese si vive bene, i ristoranti son sempre pieni e anche i voli aerei son sempre tutti esauriti.

Vorrei ricordare al nostro Premier che dimentica tutti quei lavoratori italiani che si trovano ormai da mesi in cassa integrazione e tutte le famiglie italiane (e sono ormai tante!!) che non arrivano più a fine mese.

Nessuno ha dimenticato i ricatti fatti da una parte degli industriali nei mesi scorsi alla classe operaia, si è dovuto accettare di tutto in nome della crisi, addirittura la limitazione della rappresentanza sindacale e il diritto di sciopero (unica vera arma nelle mani dei lavoratori) e tutto con il tacito consenso del Governo.

Forse questi illustri Signori hanno forse dimenticato che riducendo l'occupazione si riduce il potere d'acquisto della classe media (che sta via via scomparendo nel nostro Paese) e questo si riflette sull'intera economia?!?

Fino a quando in Italia si addotterà il sistema di rubare ai poveri per dare ai ricchi e non viceversa credo che non si raggiungerà mai quella equità sociale che tanto auspicava il Grande Presidente Sandro Pertini, infatti senza l'equità sociale non si può dire di esser pienamente liberi: perchè non ci si può considerare democraticamente liberi se si deve soppravvivere giorno per giorno!

L'Italia ha un debito pubblico tra i più elevati d'Europa, nonostante questo gli sprechi sono incessanti si pensi alle 72.000 auto blu che circolano nel nostro Paese o al numero elevatissimo di parlamentari ( 945 più i Senatori a vita) e quindi anche dei loro altissimi stipendi, se si paragona l'Italia agli USA poi ci si rende conto della gravità della situazione, negli States che come voi ben sapete sono una federazione di 50 stati più 1 distretto federale e hanno una popolazione di oltre 300 milioni di persone (contro i 60.626.442 dell'Italia) hanno soltanto 100 Senatori e 535 deputati, questo cari concittadini deve farci riflettere su chi è veramente lacausa di questa crisi: la mal politica.   

Credo che il futuro di questo Grande Paese (il più Bel Paese del mondo) sia in mano a noi giovani e siamo noi che dobbiamo scendere in campo oggi a rivendicare ciò che ci appartiene, ovvero il diritto di avere un futuro dignitoso...
                                                                                                                                                  Giuppy

martedì 24 maggio 2011

GRANDE PRESIDENTE

Desidero dedicare questo articolo ad un grande presidente italiano, ma soppratutto un grande uomo: CARLO AZEGLIO CIAMPI, nato a Livorno il 9 dicembre 1920 è un economista e politico italiano, è stato il decimo presidente della Repubblica dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006.
È stato governatore della Banca d'Italia dal 1979 al 1993, presidente del Consiglio dei ministri e ministro del turismo e dello spettacolo ad interim (1993-1994) e ministro del tesoro e del bilancio (1996-1999). Con la fine del suo mandato presidenziale è diventato senatore a vita. Primo presidente del Consiglio e primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica, Ciampi fu anche il secondo presidente eletto dopo essere stato governatore della Banca d'Italia preceduto da Luigi Einaudi nel 1948.
Dopo una militanza giovanile nel Partito d'Azione, Ciampi non ha più aderito ad alcun partito.
Figlio di Pietro Ciampi e di Maria Masino. Dopo aver conseguito la laurea in lettere nel 1940 alla Scuola Normale di Pisa, dove aveva frequentato, rimanendone affascinato, le lezioni del filosofo Guido Calogero e dove aveva conosciuto anche Franca Pilla, la futura moglie, fu chiamato alle armi nello stesso anno come sottotenente dell'esercito in Albania.
Quando venne siglato l'armistizio dell'8 settembre 1943, Ciampi, che si trovava in Italia con un permesso, rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e si rifugiò a Scanno, in Abruzzo, col suo maestro Guido Calogero, esponente di primo piano del pensiero liberalsocialista e vicino al Partito d'Azione.
Il 24 marzo 1944 Ciampi, con un gruppo di una sessantina di persone, fra cui lo stesso Calogero, altri antifascisti, prigionieri sfuggiti alla Wermacht e con l'aiuto della guida locale Alberto Pietrorazio, partendo da Sulmona si mise in marcia per raggiungere gli Alleati, attraversando il massiccio della Majella.
Si trattava di un viaggio difficile e pericoloso, in mezzo alla neve e a temperature molto basse, lungo un percorso che attraversava le linee tedesche passando per il Guado di Coccia.
Ciampi riesce quindi ad arrivare a Bari, dove consegna a Tommaso Fiore il testo manoscritto del «catechismo liberalsocialista del Partito d'azione» datogli da Calogero, si arruola nel rifondato esercito italiano e si iscrive al Partito d'Azione.
Nel 1946 sposa Franca Pilla , consegue la seconda laurea in giurisprudenza presso l'Università di Pisa e, su pressione della moglie, partecipa al concorso che lo fa entrare come impiegato in Banca d'Italia, dove rimarrà per 47 anni (14 da governatore).
Nello stesso anno si iscrive anche alla CGIL e ne conserva la tessera fino al 1980.
Nel 1960 fu chiamato all'amministrazione centrale della banca di cui nel 1970 assunse la direzione. Nel 1973 diventò segretario generale, vice direttore generale nel 1976 e direttore generale nel 1978. Nell'ottobre del 1979 fu nominato governatore della Banca d'Italia e presidente dell'Ufficio italiano dei cambi nel pieno della bufera che aveva travolto l'istituzione dopo il crack di Michele Sindona e gli arresti del governatore Paolo Baffi e del vicedirettore Mario Sarcinelli. . Ricoprì l'incarico fino al 1993.
Dall'aprile 1993 al maggio 1994 fu il presidente del Consiglio dei Ministri di un governo tecnico di transizione, il primo presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica. Non sono mancate anche in tal senso polemiche, che, sebbene minoritarie vedono una carenza di rappresentatività popolare negli organi costituzionali, non avendo egli mai ricoperto cariche elettive.
Nel giugno 1994 fu chiamato a ricoprire la carica di vice-presidente della Banca dei Regolamenti Internazionali, ruolo che detenne fino al maggio 1996.
In seguito è stato ministro del tesoro dall'aprile 1996 al maggio 1999 nei governi Prodi I e D'Alema I. In questo periodo, la sua opera è stata caratterizzata dal contenimento dell'enorme debito pubblico italiano in vista del rispetto dei parametri di Maastricht, per garantire l'accesso dell'Italia alla moneta unica europea. Ha avviato il processo di risanamento delle Poste italiane.
La sua candidatura al Quirinale viene avanzata da un vasto schieramento parlamentare e in particolare dall'allora Presidente del Consiglio D'Alema che ottiene, durante le trattative, il benestare dell'opposizione di centro-destra, anche se Ciampi, che non era iscritto in alcun partito, era molto vicino all'Ulivo. Considerato come figura fondamentale per l'entrata nell'Euro e come uno dei ministri più popolari del governo gode anche dell'appoggio del mondo economico e finanziario oltre che della stima dei dirigenti dell'Unione Europea. Il 13 maggio 1999 è stato eletto alla prima votazione, con larga maggioranza (707 voti su 1010), decimo presidente della Repubblica. In questa veste, egli ha cercato di trasmettere agli italiani quel patriottico sentimento nazionale che deriva dalle imprese del Risorgimento e della Resistenza e che si manifesta nell'Inno di Mameli e nella bandiera tricolore.
Ciampi è stato un Presidente che, analogamente a quanto avvenne con Sandro Pertini, ha riscosso sempre un alto indice di gradimento nei sondaggi fatti dai vari Istituti italiani, con una media oscillante tra il 70 e l'80% . Rimanendo sempre, perciò, una delle figure nelle quali gli italiani riponevano la loro fiducia e rafforzando con la sua figura istituzionale lo stesso ruolo del Presidente della Repubblica.
Come Pertini, anche Ciampi ha assistito ad una finale calcistica dell'Italia, infatti il 2 luglio 2000 il Capo dello Stato era presente allo Stadio De Kuip di Rotterdam nella sfortunata Finale di Euro 2000 persa dagli azzurri ai supplementari per 2-1 contro la Francia.
Ha ricevuto, nel 2005, il premio Carlo Magno dalla città tedesca di Aquisgrana per il suo impegno volto a garantire l'idea di Europa unita e pacifica; sempre nel 2005, ha anche ricevuto honoris causa il David di Donatello per la sua volontà di rilanciare il cinema italiano.
Durante il settennato Ciampi e Signora hanno posto la loro residenza presso il palazzo del Quirinale.
Da più parti a Ciampi è stato chiesto di rimanere Capo dello Stato per un secondo mandato ma egli, seppur lusingato, ha escluso l'ipotesi di un Ciampi bis al Quirinale. Sia il centro destra, sia il centro sinistra, lo hanno più volte ringraziato per il suo operato super partes e come garante istituzionale.
Il 10 febbraio 2006 ha aperto, come da protocollo, i Giochi olimpici invernali di Torino 2006.
Il 3 maggio 2006 con una nota ufficiale dal Quirinale Ciampi ha confermato la sua indisponibilità ad un settennato-bis: i motivi che l'hanno spinto a questa decisione sono l'età avanzata e la convinzione che "il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato". In effetti, è stato osservato che nessun Presidente della Repubblica è mai stato investito di un secondo mandato.
Ciampi si è dimesso il 15 maggio 2006, stesso giorno in cui il suo successore (nominato da Ciampi senatore a vita pochi mesi prima) Giorgio Napolitano ha prestato giuramento. Il suo primo atto da senatore a vita è stato quello di votare la fiducia al secondo governo Prodi, esprimendosi favorevolmente riguardo al nuovo esecutivo. Ciò ha provocato l'accesa reazione, manifestata durante la votazione con fischi e grida, di numerosi esponenti della Casa delle Libertà.
Un mese dopo le sue dimissioni ha annunciato che avrebbe votato no al referendum confermativo sulle riforme istituzionali, motivando questa scelta in coerenza con il suo costante impegno a difesa della Costituzione: tale posizione è stata criticata dal centro destra ed apprezzata dal centro sinistra dalla componente dei costituzionalisti che ad esso si ispira. Dal 2007, pur non avendo mai accettato di aderirvi ufficialmente, è considerato vicino al Partito Democratico che lo ha nominato componente di diritto del Coordinamento Nazionale, come membro onorario.
Designato presidente del comitato organizzativo delle manifestazioni per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia nel 2011, è costretto a dimettersi dall'incarico nell'aprile 2010 per un peggioramento delle sue condizioni fisiche dovuto alla vecchiaia. A succedergli nell'incarico è stato Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio.
Auspico con tutto il cuore che in futuro siedano sul colle più alto di Roma molti altri Ciampi e Pertini, perchè è di questi uomini che il nostro Paese ha bisogno.

domenica 13 marzo 2011

UN GENIO ITALIANO

Voglio dedicare questo mio nuovo articolo ad un vero e proprio genio italiano, un desiner e progettista straordinario, un maestro della scuola motoristica : DANTE GIACOSA!

 LA VITA:

Originario di Neive in Piemonte, nacque a Roma, dove il padre stava svolgendo il servizio militare. Attese agli studi classici, che lasciarono un'impronta indelebile nel suo stile culturale e progettistico; conoscere la lingua latina e la greca gli diede «un senso di misura ed equilibrio senza il quale non avrei potuto svolgere il mio lavoro». Nel 1927 si laureò a soli 22 anni in ingegneria meccanica presso il Politecnico di Torino e subito entrò alla FIAT grazie a un annuncio letto sui giornali. Presso l'azienda automobilistica torinese svolgerà tutta la sua lunga e feconda carriera ascendendo dal primo incarico di disegnatore progettista, per il quale fu assunto con lo stipendio di 600 lire mensili, sino ai massimi livelli dirigenziali. Già nel 1933 venne promosso capo dell'ufficio tecnico vetture, nel 1955 capo della direzione superiore tecnica degli autoveicoli, nel 1966 direttore di divisione e membro del consiglio direttivo dell'azienda.
Il primo periodo della sua carriera, dal 1928 al 1946, fu per lui una sorta di apprendistato sebbene ricoprisse già incarichi di prestigio; in questi diciotto anni completò la sua formazione di progettista e acquisì vasta esperienza. Il secondo periodo, dal 1946 al 1970, anno nel quale si dimise con discrezione e profondo senso dell'equilibrio per raggiunti limiti di età, lo vide responsabile della progettazione in numerosi settori dell'azienda; durante questi ventiquattro anni fu attivo in ogni branca della progettazione motoristica, dal settore autovetture a quello aeronautico a quello marino a quello dei grandi motori per impieghi industriali ed energetici a quello dei veicoli militari e speciali. A volte si occupò non solo dell'aspetto motoristico ma anche del disegno generale delle vetture, come nel caso della Nuova 500 del 1957 che è rimasto forse il più famoso della sua carriera e per cui nel 1959 gli fu conferito il Premio Compasso d'oro. Anche il Centro Stile Fiat fu sempre sotto la sua guida.
Il 29 gennaio 1970 la FIAT annunciò la sua nomina a consulente della presidenza e della direzione generale e a rappresentante della società presso enti nazionali ed internazionali. Poco dopo si dimise per raggiunti limite di età e si dedicò a consulenze e alla scrittura di vari libri di memorie. Il gesto appartiene in tutto al suo stile sobrio e discreto. La FIAT in quell'occasione lo ricordò con queste parole: "Validissimo contributo, alta competenza, geniale capacità".
Il 31 marzo 1996 morì a Torino, a 91 anni di età.

LE SUE AUTOMOBILI:

È la prima vettura del cui sviluppo è completamente responsabile. Vettura minima, che deve essere talmente economica da poter essere acquistata anche da uno degli operai che la costruiscono, così la pensano Agnelli e Valletta. Il 15 giugno 1936 viene presentata al pubblico col nome Fiat 500, subito soprannominata Topolino. Nel 1937 viene proposta in versione Furgoncino. Nel 1948 viene aggiornata nella 500 B con motore a valvole in testa, offerta anche come Giardiniera con fiancate in legno. Nel 1949 è ulteriormente aggiornata nella terza serie, la 500 C.Berlina media che sostituisce la Fiat 508 Balilla. Il motore, con vari aggiornamenti, sarà utilizzato sino al 1969 dalla Fiat 1100 (103). Viene aggiornata nel 1939 con il nuovo frontale a "prua di nave" diventando la 1100 A, ancora nel 1948 con un nuovo motore che da origine alla 1100 B e nel 1949 con il comando del cambio al volante e modifiche alla coda nella serie E. Viene costruita con numerose varianti di carrozzeria, comprese cabriolet, trasformabili, veicoli commerciali, berline lunghe per uso privato o tassì e alcune versioni sportive.
La Monoposto da competizione, progettata per la Cisitalia, con componenti meccanici della Fiat 1100. Costruita a partire dal 1946 fu la dimostrazione di come con una base relativamente semplice ed economica si potesse creare una categoria di vetture da competizione accessibile anche ai piloti più giovani e con meno disponibilità finanziarie, anche negli anni difficili dell'immediato dopoguerra.
Concluso il periodo della seconda guerra mondiale si dedica alla Fiat 1400, poi soprannominata la vettura europea, che viene presentata al salone di Ginevra nel 1949 e prodotta dal 1950. Da essa deriva la Fiat 1900, con uguale carrozzeria e motore più potente. La 1400 è realizzata anche in versione Cabriolet e, dal 1953, Diesel; la 1900 in versione "Granluce", ovvero berlinetta sportiva. Nel 1954 viene realizzata la seconda serie (1400 A e 1900 A) e nel 1956 la terza (1400 B e 1900 B).
l progetto della Fiat Campagnola è del 1951. Ne derivano una fuoristrada civile, la Campagnola appunto, e una militare, chiamata a seconda delle serie AR51, AR55 o AR59.
La FIAT 8V Granturismo di grandi prestazioni e costruzione stranamente artigianale per la FIAT (era costruita dall'officina Costruzioni Sperimentali), uscì nel 1953.
Sempre nel 1953 Giacosa si occupa della 1100 /103, vettura di grande successo. Nel 1954 è la volta della 1100 TV (Turismo Veloce) e della 1100 Familiare. La 1100 rimane in produzione per diversi anni, aggiornata nel 1956 come 1100/103 E, nel 1957 come 1100/58, nel 1960 come 1100 Special ed Export, nel 1962 come 1100 D e infine nel 1966 come 1100 R. Da essa derivano anche la 1200 Granluce e le 1100 e 1200 Spyder.
La 600 è uno dei più grandi successi della FIAT, l'auto che assieme alla Nuova 500 è destinata a motorizzare gli italiani.  Presentata al Salone di Ginevra nel 1955 in versione Berlina, Trasformabile e Multipla(la prima monovolume italiana) Un successo strepitoso.
La Nuova 500 esce nel 1957 ed è assieme alla 600 uno dei suoi più grandiosi progetti, per il quale nel 1959 vince il compasso d'oro. La Autobianchi Bianchina ne è la sorella più "ricca".
Nel 1961 propone le 1300 e 1500, due vetture dalle fattezze ispirate, in piccolo, alla linea di moda in quegli anni in America.
Progettata per l'Autobianchi, la Primula è la prima automobile italiana a trazione anteriore e motore trasversale, Altrettanto famose sono le A111 e A112, vetture di grande successo, in particolare l'A112.
La Fiat 124 è la vettura dell'anno nel 1966, la Fiat 125 introduce molti elementi leggeri su auto di serie.
La Fiat Dino, è una sportiva realizzata in collaborazione con la Ferrari; il suo motore deriva dall'omonima vettura da competizione; la Fiat la realizzò con carrozzeria spider (1966, Pininfarina) e coupé (1967, Bertone) con motore 2000, poi aggiornata con un 2400 nel 1969.
La Fiat 130 è la prima grande ammiraglia di casa FIAT, in particolare la versione coupé ha linee molto accattivanti e anticipa lo stile degli anni settanta. Giacosa se ne occupò marginalmente, ritenendo la FIAT non sufficientemente preparata a realizzare vetture di questa taglia.Tra le più diffuse vetture del parco circolante in quel periodo la Fiat 128 è eletta auto dell'anno nel 1970 ed è la prima FIAT a motore e trazione anteriori.Lo stile è di Pio Manzù. Giacosa vi partecipa attivamente per la parte motoristica. Presentata nel 1971, la Fiat 127 viene eletta auto dell'annonel 1972 .La Fiat 126 presentata nel 1972 è l'erede della 500 ma non ne raggiungerà mai né il fascino né l'ampia diffusione e la longevità.

Per concludere cito una frase di Giorgetto Giugiaro:

Certi uomini hanno cambiato la storia con la forza delle loro idee, con la pazienza, con il lavoro quotidiano. Uno di questi è stato Dante Giacosa, un ragazzo albese, torinese d'adozione, ma sopratutto un grande piemontese. Un uomo che dalla sua scrivania disegnando auto prima e ispirando progettisti poi, ha contribuito in modo determinante alla trasformazione dell'Italia, nel passaggio epocale da Paese contadino a nazione industrializzata. Tutti gli italiani dovrebbero conoscerlo, perchè tutti gli italiani nati XX secolo si son seduti, hanno guidato o si son innamorati in un'automobile nata dalla mente e dal cuore di Dante Giacosa.

 

lunedì 3 gennaio 2011

IL PIU' GRANDE TRA I PRESIDENTI ITALIANI

Dedico questo mio articolo al più amato tra i Presidenti della Repubblica Italiana:
Alessandro Pertini, per tutti Sandro.

Egli è stato il VII Presidente delle Nostra Repubblica dal 9 Luglio 1978 al 29 Giugno 1985, prima di ricoprire tale carica fu anche Presidente della Camera dei Deputati per 8 anni dal 1968 al 1976. 

Iscritto al Partito Socialista Italiano dall'età di vent'anni, si distinse nella lotta antifascista e per questo conobbe l'esiglio e la galera.

Nel 1943 alla caduta del regime fascista, fu liberato, e partecipò alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca. Contribuì poi a ricostruire il vecchio PSI fondando insieme a Pietro Nenni il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Nello stesso anno fu catturato dalle SS e condannato a morte, ma riuscì a salvarsi grazie a un intervento dei partigiani dei GAP.

Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della Resistenza italiana e fu membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia in rappresentanza del PSIUP. Da partigiano fu attivo soprattutto a Roma, in Toscana, Val d'Aosta e Lombardia, distinguendosi in diverse azioni che gli valsero una medaglia d'oro al valor militare. Nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano, e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e altri gerarchi fascisti.

Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì la carica di Presidente della Camera dei deputati, per essere infine eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978.

Andando spesso oltre il semplice ruolo istituzionale, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere spesso ricordato come il "presidente più amato dagli italiani"

LA GIOVENTU'

Nacque da una famiglia benestante (il padre Alberto, che morì giovane, era proprietario terriero), quarto di cinque fratelli: il primogenito Luigi, pittore; Marion, che sposò un diplomatico italiano; Giuseppe, detto "Pippo", ufficiale di carriera; ed Eugenio, che durante la seconda guerra mondiale fu deportato e morì nel campo di concentramento di Flossenbürg.

Sandro Pertini, molto legato alla madre Maria Muzio, fece i suoi primi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" di Varazze, e successivamente al Liceo Ginnasio "Gabriello Chiabrera" di Savona, dove ebbe come professore di filosofia Adelchi Baratono, socialista riformista e collaboratore di Critica Sociale di Filippo Turati, che contribuì ad avvicinarlo al socialismo ed agli ambienti del movimento operaio ligure.

Nel 1915, allo scoppio della Grande Guerra, venne chiamato alle armi e inviato sul fronte dell'Isonzo nel 25º reggimento di artiglieria da campagna. Seppur diplomato, prestò inizialmente servizio come soldato semplice, essendosi rifiutato, come molti altri socialisti neutralisti del periodo, di fare il corso per ufficiali. Nel 1917 tuttavia, a seguito di una direttiva del Cadorna che obbligava tutti i possessori di titolo di studio a prestare servizio come ufficiali, frequentò il corso a Peri di Dolcè.

Venne dunque inviato nuovamente sull'Isonzo come sottotenente di complemento, distinguendosi per alcuni atti di eroismo: fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare per aver guidato, nell'agosto del 1917 un assalto al monte Jelenik, durante la battaglia della Bainsizza.
Tuttavia, dopo la guerra, congedato con il grado di capitano, non gli fu consegnata la decorazione poiché il regime fascista occultò tale merito a causa della sua militanza socialista.

Nel 1918, a guerra finita, Sandro Pertini si iscrisse al Partito Socialista Italiano, nella federazione di Savona, aderendo alla corrente riformista di Filippo Turati. Nel maggio 1919 venne eletto consigliere comunale di Stella e nel 1921 fu tra i delegati al Congresso socialista di Livorno che sancì la scissione del partito e la nascita del Partito Comunista d'Italia. Nel 1922 aderì infine alla scissione della corrente turatiana per aderire al neonato Partito Socialista Unitario.
Dopo aver sostenuto dodici esami a Genova, nel 1923 si iscrisse, ventisettenne, alla facoltà di giurisprudenza dell'ateneo di Modena: qui sostenne in tre mesi i rimanenti sei esami e si laureò (105 su 110) con una tesi su L'industria siderurgica in Italia.

In seguito si trasferì a Firenze, ospite del fratello Luigi, e si iscrisse all'Istituto Universitario "Cesare Alfieri" conseguendo nel 1924 la seconda laurea, in scienze politiche, con una tesi dal titolo La Cooperazione. A Firenze, entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi, e in quel periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".

Ostile fin dall'inizio al regime fascista, per la sua attività politica fu spesso bersaglio di aggressioni squadriste: il suo studio di avvocato a Savona fu devastato diverse volte, mentre in un'altra occasione fu picchiato perché indossava una cravatta rossa, oppure ancora per aver deposto una corona di alloro dedicata alla memoria di Giacomo Matteotti.

Il 22 maggio 1925 venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo Sotto il barbaro dominio fascista, in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le illegalità e le violenze del fascismo stesso, nonché la sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l'eventuale complicità del generale Emilio De Bono a riguardo dell'omicidio di Giacomo Matteotti.

LA RESISTENZA PARTIGIANA

Riacquistò la libertà solo il 7 agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta del fascismo. Inizialmente il provvedimento avrebbe dovuto escludere i confinati comunisti; Pertini si adoperò comunque per ottenere in breve tempo anche la loro liberazione.

Andò a far visita alla madre e poi ritornò subito a Roma, per contribuire alla ricostruzione del partito socialista e riprendere la lotta antifascista; il 23 agosto partecipò infatti alla fondazione del PSIUP dall'unione del PSI con il MUP, con Pietro Nenni come segretario. Il 25 fu eletto con Carlo Andreoni vicesegretario, per occuparsi dell'organizzazione militare del partito a Roma. In seguito fece parte della giunta militare del CLN con Giorgio Amendola (PCI), Riccardo Bauer (PdA), Giuseppe Spataro (DC), Manlio Brosio (PLI) e Mario Cevolotto (DL).

Pochi giorni dopo l'8 settembre, partecipò ai combattimenti contro i tedeschi a Porta San Paolo per la difesa di Roma, insieme a Luigi Longo, Emilio Lussu e Giuliano Vassalli.

IL DOPOGUERRA E LA CARRIERA POLITICA REPUBBLICANA

Nell'aprile del 1945 Pertini divenne segretario del PSIUP, carica che ricoprì fino all'agosto dell'anno successivo.

Nelle file socialiste fu quindi eletto all'Assemblea Costituente in cui intervenne nella stesura degli articoli del Titolo I, sui rapporti civili.

Appoggiò inoltre il lavoro delle commissioni di epurazione e fu subito decisamente avverso all'attuazione dell'amnistia voluta da Togliatti nei confronti dei reati politici commessi dai responsabili dei crimini fascisti; in tal senso, durante i lavori dell'assemblea, intervenne il 22 luglio 1946 con un'interrogazione parlamentare nei confronti del ministro di Grazia e Giustizia Fausto Gullo, che verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento di amnistia, sull'inadempimento del governo De Gasperi nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici. 

La sua azione politica in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente qualsiasi possibile rigurgito del regime mussoliniano.

Durante il XXV Congresso del Partito Socialista di Unità Proletaria, svoltosi a Roma tra il 9 ed il 13 gennaio 1947, Pertini cercò di evitare la scissione con l'ala democratico-riformista di Giuseppe Saragat. Per giorni si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti ma nonostante i suoi sforzi «la forza delle cose», come la definì Pietro Nenni, portò alla scissione socialista, meglio nota come "scissione di palazzo Barberini", da cui nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

Nonostante fosse fautore dell'unità del movimento dei lavoratori e dell'"unità d'azione" con il Partito Comunista Italiano, tuttavia era anche un fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del PCI. In tal senso si oppose, in seno al Partito Socialista Italiano (nato dalle ceneri del PSIUP dopo la scissione di Palazzo Barberini), alla presentazione di liste unitarie e alla costituzione del Fronte Democratico Popolare per le elezioni del 1948. Al XXVI Congresso di Roma del 19-22 gennaio 1948 la sua mozione fu tuttavia minoritaria: al prevalere della linea di Nenni, si adeguò alla maggioranza.

Pertini rientrò nella direzione nazionale del partito con XXVIII Congresso di Firenze del maggio 1949, divenendo anche, dal 1955 nuovamente vicesegretario. Sarebbe rimasto nella direzione fino al 1957 quando, al XXXII Congresso di Venezia, anche in seguito alla invasione sovietica dell'Ungheria, venne interrotta la collaborazione con il PCI.

Nella I legislatura, fu nominato senatore della Repubblica, in base alla 3a disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica italiana, e divenne presidente del gruppo parlamentare socialista al Senato. Il 27 marzo 1949, durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione al Patto Atlantico, perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia. In quella seduta difese anche la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti veri obbiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico.

Fu successivamente eletto alla Camera dei deputati nel 1953, e poi ancora nel 1958, 1963, 1968, 1972 e nel 1976, nel collegio Genova-Imperia-La Spezia-Savona, per divenire presidente prima della Commissione Parlamentare per gli Affari Interni e poi di quella degli Affari Costituzionali, e nel 1963 vicepresidente della Camera dei deputati.

LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA

L'elezione del settimo presidente della Repubblica iniziò il 29 giugno 1978 a seguito delle dimissioni di Giovanni Leone. Nei primi tre scrutini la DC optò per Guido Gonella e il PCI votò in modo pressoché unanime il proprio candidato, Giorgio Amendola, mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti su Pietro Nenni. Fino al 13º scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola e il PSI propose Francesco De Martino, senza trovare consensi, ma al 16º scrutinio, l'8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica italiana con 832 voti su 995, a tutt'oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana.

La sua elezione apparve subito un importante segno di cambiamento per il Paese, grazie al carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della repubblica, in un Paese ancora scosso dalla vicenda del sequestro Moro.

Nel 1979 diede l'incarico (senza successo) di formare il governo a Bettino Craxi, suscitando scalpore negli ambienti politici e preparando così il terreno per il primo governo a guida socialista della Repubblica. Pertini fu comunque il primo presidente della Repubblica a conferire l'incarico di formare il governo ad una personalità non democristiana, Giovanni Spadolini, il quale presentò il Governo Spadolini I il 28 giugno 1981.

In seguito al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, nell'invocare la repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati, lanciò l'appello «Fate presto», frase apparsa il giorno seguente a nove colonne sul quotidiano Il Mattino di Napoli.

Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quei settori dello Stato che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice.

Pertini fu inoltre particolarmente partecipe durante la scomparsa di Enrico Berlinguer, tanto da partire personalmente da Roma con un volo presidenziale per poter scortare la salma nella capitale. Durante le esequie in piazza S. Giovanni, Nilde Iotti, dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante.

Assunse sempre un atteggiamento di intransigente denuncia nei confronti della criminalità organizzata denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» della mafia e ammonendo sempre a non confondere i fenomeni criminosi della mafia, della camorra e della 'ndrangheta con i luoghi e le popolazioni in cui sono presenti.

Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando le figure di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La presidenza di Pertini favorì l'ascesa del primo socialista italiano alla guida di un governo. Già nel 1979 il presidente aveva dato un incarico (senza successo) a Bettino Craxi. Nel 1983, diede nuovamente l'incarico di formare il governo a Craxi, che stavolta realizzò l'intento di Pertini. 

Per due anni e per la prima volta nella storia d'Italia, furono socialisti sia il presidente della Repubblica, sia il presidente del Consiglio dei ministri. Ciò nonostante, Pertini ebbe con Craxi rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento. Pertini spesso non condivise le mosse politiche craxiane, come nel caso del XLIII Congresso a Verona, il 15 maggio 1984, in cui Bettino Craxi venne eletto segretario per acclamazione anziché con la consueta votazione.

I rapporti tra i due politici comunque si mantennero su un piano di cordialità e rispetto, nonostante non si amassero. Antonio Ghirelli, allora portavoce del Quirinale, riporta che Pertini, il giorno in cui doveva conferire a Craxi l'incarico di presidente del Consiglio, notò che il segretario socialista si era presentato al Colle indossando dei jeans e gli intimò di ritornare con un abbigliamento adeguato.

Durante il suo mandato sciolse due volte il Parlamento, convocando le elezioni politiche italiane del 1979 che diedero vita alla VIII Legislatura e le elezioni politiche del 1983 che diedero vita alla IX Legislatura; diede l'incarico (in ordine cronologico) di formare i governi Andreotti V, Cossiga I, Cossiga II, Forlani, Spadolini I, Spadolini II, Fanfani V e Craxi I e nominò giudici costituzionali Virgilio Andrioli, Giuseppe Ferrari e Giovanni Conso.

Nominò inoltre cinque senatori a vita: il politico e storico Leo Valiani, l'attore e commediografo Eduardo De Filippo, la politica ed ex-partigiana Camilla Ravera (prima donna a ricevere questa nomina), il critico letterario e rettore Carlo Bo ed il filosofo Norberto Bobbio. Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente sette. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a cinque il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento ma permettere a ogni Presidente della Repubblica di nominarne fino a cinque. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati o per la popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successore Cossiga seguì la stessa interpretazione.

Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese rappresentò una novità per il ruolo di Presidente della Repubblica, che era stato, fino ad allora una figura strettamente "notarile". Quello che in seguito divenne un archetipo della funzione di stimolo del Quirinale nei confronti della politica, il cosiddetto "potere di esternazione", fu per la prima volta esercitato nella risoluzione della controversia parasindacale dei controllori di volo: indicativo della novità del suo intervento - che indusse il Governo ad avallare una soluzione negoziale elaborata al Quirinale - è il fatto che la stampa e la dottrina giuridica cercarono di ricondurre la vicenda nell'ambito dei poteri presidenziali, con un'evidente giustificazione a posteriori, evidenziando il fatto che i controllori dei voli aerei erano a quel tempo personale militarizzato (era proprio questa una delle principali questioni), e dicendo che Pertini era intervenuto in qualità di comandante delle forze armate.

Nel 1982 Ronald Reagan, all'epoca presidente degli Stati Uniti, ricevette il 25 marzo a Washington il presidente italiano e scrisse in uno dei suoi diari personali: «Oggi è arrivato Sandro Pertini. Ha 84 anni ed è un fantastico gentiluomo. Abbiamo avuto un ottimo colloquio. Ama molto gli Stati Uniti. C'è stato un momento commovente quando è passato davanti al Marine che teneva la nostra bandiera. Si è fermato e l'ha baciata».

SENATORE DI DIRITTO A VITA

Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica allo scopo di facilitare le procedure dell'elezione del suo successore. Al termine del mandato presidenziale divenne, come previsto dalla Costituzione, senatore a vita; in tale veste non svolse attività politica né votò la fiducia ad un Presidente del Consiglio da lui precedentemente incaricato. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la Presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati", costituitasi a Firenze nel 1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano.

Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del Partito Socialista, al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista; del resto, anche durante il mandato aveva difeso la bandiera del socialismo italiano, intervenendo con un commento autorizzato nella cosiddetta "lite delle comari" del governo Spadolini. Indipendente dal ruolo istituzionale che aveva ricoperto e legato piuttosto a un senso di reciproca lealtà democratica appare invece l'episodio che lo vide, nel 1988, visitare la camera ardente di Giorgio Almirante.

Il 23 marzo 1987 fu colto da un malore durante i funerali del generale Licio Giorgieri, che era stato assassinato dalle Brigate Rosse, e fu ricoverato al Policlinico Umberto I; in quella occasione ricevette anche la visita del papa Giovanni Paolo II, al quale era legato da lunga amicizia, ma questi poté solo vederlo di sfuggita, poiché gli fu impedito dai medici, in quanto Pertini risultava sedato e non ancora fuori pericolo.
Pertini si rimise completamente ma, la notte del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni, si spense per una complicazione in seguito ad una caduta di pochi giorni prima, a Roma nel suo appartamento privato, in una mansarda affacciata sulla Fontana di Trevi. Per suo espresso desiderio, il suo corpo fu cremato e le ceneri traslate nel cimitero del suo paese natale, San Giovanni.